L’immagine accanto è tratta dalla newsletter della Fondazione Mission Bambini. L’ho scelta come esempio di comunicazione cruda, emotivamente forte, ma, a mio avviso, rispettosa della dignità di mamma e bambino. La sofferenza è evidente, ma non scioccante. L’immagine trasmette la soluzione del problema.
Insieme, propongo il video con cui Cesvi promuove le Case del sorriso. Forte è l’indignazione di fronte al dramma dei bambini sfruttati, che appaiono in tutta la loro dignità, capaci di coltivare un sogno pur se ridotti in schiavitù.
Vi avverto, il post è ricco di link e rimandi ad ulteriori approfondimenti perché vorrei fornire un quadro abbastanza completo, anche se inevitabilmente non esaustivo, di ciò che si muove intorno al tema della comunicazione sociale, professionale e etica, a partire dall’articolo “Raccolta fondi e immagini shock, quale punto di equilibrio?” apparso su VITA il 2 novembre dello scorso anno a firma Nino Santomartino, responsabile Comunicazione e RSI di AOI e dall’incontro promosso da ASSIF il 22 giugno scorso a Milano, presso la sede della Doxa “Quando le immagini fanno bene al portafoglio ma non all’organizzazione”
Ripropongo qui interventi e dibattito e l’intervento di Massimo Coen Cagli, l’unico scritto, che io sappia.
Nino ed altri bravi colleghi hanno raccolto il testimone dagli avvocati Roberto Randazzo, Giuseppe Taffari, Eloisa Minolfi e da Carlo Mazzini che sei anni fa, insieme a un gruppo di fundraiser di cui facevo parte, hanno avviato una seria riflessione sul tema delle immagini shocking spesso usate nelle campagne di raccolta fondi. L’idea era di avviare un ampio confronto tra le associazioni e apportare miglioramenti all’articolo 46 – Appelli al pubblico – del Codice di Autodisciplina della Comunicazione Commerciale
Forse allora i tempi non erano maturi. Al contrario, sono convinto che oggi vi siano le condizioni per riprendere quel percorso, forti di una maggiore consapevolezza sulla necessità di salvaguardare innanzitutto la dignità delle persone “beneficiarie”, soprattutto se bambini. Non a caso, oggi si riparte con l’adesione di alcune associazioni: AIAP, le già citate AOI e Assif, CINI, EUConsult Italia, Istituto Italiano della Donazione, Link2007, Unicom
Durante l’incontro del 22 giugno è stato riproposto lo spot “Anche le immagini uccidono” realizzato da REDANI, Rete della Diaspora Africana Nera in Italia. In particolare, sono stato colpito dalle parole di Fortuna Ekutsu Mambulu “Abbiamo lanciato la campagna anche per i nostri figli, che non devono pensare che l’Africa sia quella rappresentata con immagini scioccanti e stereotipate”.
Qui sta il punto. Oltre che riduttive, quelle immagini usate strumentalmente sono frutto di pregiudizio e di scelte fin troppo “markettare” dietro cui si nasconde una concezione della comunicazione basata esclusivamente sull’impatto emotivo, anziché sull’empatia.
Non solo. Una concezione della cooperazione basata più sull’aiuto che sullo sviluppo sostenibile e sul co-sviluppo. Due concetti chiave, che presuppongono piena collaborazione e pari dignità con i partner, considerati non più “beneficiari” ma per l’appunto partner che cooperano per costruire il futuro per sé, per la propria famiglia, per la comunità di appartenenza, di origine o di residenza.
In questo quadro, anche chi opera nel campo della comunicazione e del fundraising gioca una partita del tutto nuova e complessa, chiamato a ripensare il proprio ruolo e la natura stessa della propria professione, se non vuole essere considerato semplice “markettaro”.