Pubblicato da: Beppe Cacòpardo | 29 giugno 2016

LA COMUNICAZIONE SOCIALE E L’USO DELLE IMMAGINI

Mission Bambini - Eritrea

Mission Bambini – Eritrea

L’immagine accanto è tratta dalla newsletter della Fondazione Mission Bambini. L’ho scelta come esempio di comunicazione cruda, emotivamente forte, ma, a mio avviso, rispettosa della dignità di mamma e bambino. La sofferenza è evidente, ma non scioccante. L’immagine trasmette la soluzione del problema.

Insieme, propongo il video con cui Cesvi promuove le Case del sorriso. Forte è l’indignazione di fronte al dramma dei bambini sfruttati, che appaiono in tutta la loro dignità, capaci di coltivare un sogno pur se ridotti in schiavitù.

Vi avverto, il post è ricco di link e rimandi ad ulteriori approfondimenti perché vorrei fornire un quadro abbastanza completo, anche se inevitabilmente non esaustivo, di ciò che si muove intorno al tema della comunicazione sociale, professionale e etica, a partire dall’articolo “Raccolta fondi e immagini shock, quale punto di equilibrio?” apparso su VITA il 2 novembre dello scorso anno a firma Nino Santomartino, responsabile Comunicazione e RSI di AOI e dall’incontro promosso da ASSIF il 22 giugno scorso a Milano, presso la sede della Doxa Quando le immagini fanno bene al portafoglio ma non all’organizzazione” 

Ripropongo qui interventi e dibattito e  l’intervento di Massimo Coen Cagli, l’unico scritto, che io sappia.

Nino ed altri bravi colleghi hanno raccolto il testimone dagli avvocati Roberto Randazzo, Giuseppe Taffari, Eloisa Minolfi e da Carlo Mazzini che sei anni fa, insieme a un gruppo di fundraiser di cui facevo parte, hanno avviato una seria riflessione sul tema delle immagini shocking spesso usate nelle campagne di raccolta fondi. L’idea era di avviare un ampio confronto tra le associazioni e apportare miglioramenti all’articolo 46 – Appelli al pubblico – del Codice di Autodisciplina della Comunicazione Commerciale

Forse allora i tempi non erano maturi. Al contrario, sono convinto che oggi vi siano le condizioni per riprendere quel percorso, forti di una maggiore consapevolezza sulla necessità di salvaguardare innanzitutto la dignità delle persone “beneficiarie”, soprattutto se bambini. Non a caso, oggi si riparte con l’adesione di alcune associazioni: AIAP, le già citate AOI e Assif, CINI, EUConsult Italia, Istituto Italiano della Donazione, Link2007, Unicom

Durante l’incontro del 22 giugno è stato riproposto lo spot “Anche le immagini uccidono” realizzato da REDANI, Rete della Diaspora Africana Nera in Italia. In particolare, sono stato colpito dalle parole di Fortuna Ekutsu Mambulu  “Abbiamo lanciato la campagna anche per i nostri figli, che non devono pensare che l’Africa sia quella rappresentata con immagini scioccanti e stereotipate”.

Qui sta il punto. Oltre che riduttive, quelle immagini usate strumentalmente sono frutto di pregiudizio e di scelte fin troppo “markettare” dietro cui si nasconde una concezione della comunicazione basata esclusivamente sull’impatto emotivo, anziché sull’empatia.

Non solo. Una concezione della cooperazione basata più sull’aiuto che sullo sviluppo sostenibile e sul co-sviluppo. Due concetti chiave, che presuppongono piena collaborazione e pari dignità con i partner, considerati non più “beneficiari” ma per l’appunto partner che cooperano per costruire il futuro per sé, per la propria famiglia, per la comunità di appartenenza, di origine o di residenza.

In questo quadro, anche chi opera nel campo della comunicazione e del fundraising gioca una partita del tutto nuova e complessa, chiamato a ripensare il proprio ruolo e la natura stessa della propria professione, se non vuole essere considerato semplice “markettaro”.

Pubblicato da: Beppe Cacòpardo | 6 giugno 2016

EMPATIA

Foto Convegno 9 maggio 2016

Hanno bisogno di noi, hanno perso tutto, non la loro dignità.

Kurdistan_5x1000_2016

In queste condizioni, anche tu perderesti la speranza.

Sono due delle immagini di profughi e rifugiati in Kurdistan, fuggiti dalla guerra in Siria e Iraq, utilizzate nella recente campagna 5×1000 Focsiv via mobile. Non ci siamo limitati a indicare le semplici modalità, ma abbiamo scelto di rappresentare con brevi messaggi e immagini le terribili condizioni di vita di coloro hanno lasciato tutto per sfuggire al massacro, non la loro dignità.

“In queste condizioni, anche tu perderesti la speranza”.

Ovvero: in queste condizioni anche noi, nati fortunati in un Paese dal benessere diffuso, migreremmo in cerca di un futuro migliore per noi stessi e per la nostra famiglia.

Sono immagini vere, forti, ma rispettose della dignità della persona, come è giusto che sia in una comunicazione mirata prima di tutto a educare, per creare consenso e adesione, come premessa per raccogliere fondi.

Lempatia è la capacità di comprendere a pieno lo stato d’animo altrui, sia che si tratti di gioia, che di dolore. Empatia significa “sentire dentro“, ad esempio “mettersi nei panni dell’altro…(definizione da Wikipedia)

Sempre sul tema “Un’altra comunicazione è possibile“, sono convinto che generare empatia sia il modo migliore per sollecitare attenzione e riflessione in chi ascolta o in chi legge. Per questo può rivelarsi un buon approccio nella comunicazione orientata al fundraising.

L’empatia facilita la condivisione, in un approccio responsabile ai problemi. Ci fa mettere nei panni dell’altro per provare a sentire la sua stessa difficoltà, la sua gioia o il suo dolore. L’empatia può aiutare a sconfiggere falsi stereotipi, a evitare di ridurre tutto ad una breve quanto fugace emozione.

In assenza di condivisione e partecipazione, subentra l’assuefazione a notizie e immagini. Per reazione, si finisce per cambiare canale, si comincia a rimuovere e a ignorare l’esistenza del problema.

C’é differenza tra uso strumentale di immagini scioccanti funzionali a donazioni una tantum e uso responsabile per acquisire e, possibilmente, fidelizzare il donatore. Così come c’è differenza tra raccogliere soldi e fare fundraising. La raccolta fondi è un fatto occasionale, il fundraising è una strategia coordinata, continuativa. Fin qui i fundraiser concordano. Occorre tuttavia andare oltre e aggiungere che il vero scopo del fundraising, come strategia integrata all’attività istituzionale, è indurre cambiamento:

  • nelle coscienze, generando conoscenza e consapevolezza attraverso la comunicazione;
  • nelle condizioni di chi vive in situazioni di disagio o malattia;
  • nella situazione sociale, quella vicina e quella apparentemente più lontana da noi, ormai sempre più prossima.

Da qui scaturisce la spinta all’azione consapevole e responsabile, frutto di condivisione e di paretecipazione da parte del donatore.

Intendere così il fundraising è pura utopia o è piuttosto la nuova sfida ineludibile?

Vedo segni evidenti che vanno nella seconda direzione. Il che impone un approccio diverso alla comunicazione e al fundraising, che alimenti conoscenza, consapevolezza, responsabilità, individuale e collettiva.

Anche così, credo, si può invertire il calo di donatori evidenziato da una indagine realizzata da GFK Eurisko.

Su 10.000 casi rilevati per metà nel maggio 2013, per metà nel novembre 2013, si scopre che nel periodo 2007/2013 i donatori italiani sono ridotti da 31,4 a 22,2 milioni.

Non so se indagini più recenti segnano una auspicabile inversione di tendenza. Sono convinto che vi siano molte concause che spiegano il dato di quella citata, a cominciare dalla lunga crisi economica e sociale che ha attraversato il Paese e che ancora oggi fa sentire i suoi effetti. Sono altresì convinto che molto dipenda dalla diminuzione di fiducia da parte dell’opinione pubblica, a causa di scandali più o meno recenti che hanno riguardato il settore; dall’eccesso di frammentazione e di competizione; da una scarsa capacità di comunicazione, professionale e etica, rispettosa della dignità della persona. Un’altra comunicazione è possibile!

 

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