Pubblicato da: Beppe Cacòpardo | 27 Maggio 2016

UN’ALTRA COMUNICAZIONE E’ POSSIBILE

 

Recentemente, l’Associazione di promozione sociale Redani (Rete della Diaspora africana nera in Italia), ha organizzato presso l’Università Upter il convegno “Cambiare si può“, allo scopo di sensibilizzare le associazioni sul corretto uso delle immagini nel fundraising, finalizzato all’abbattimento di pregiudizi e stereotipi, nel quadro della campagnaAnche le immagini uccidono“.

Non ho partecipato al convegno, ma l’argomento è di quelli che mi appassiona, e non da ora.

Mi piace ricordare che già nel 2010 gli avvocati Roberto Randazzo, Giuseppe Taffari, Eloisa Minolfi, Carlo Mazzini, insieme ad un gruppo di fundraiser di cui facevo parte, aveva sviluppato una seria riflessione sul tema e elaborato proposte di integrazione al codice di autodisciplina pubblicitaria, che non andarano in porto soprattutto per scarso seguito da parte delle associazioni.

Mi auguro che sforzi più recenti portino a migliori risultati. Nel novembre dello scorso anno, il tema è stato ripreso dal mio amico Nino Santomartino quale delegato per la comunicazione sociale Aoi, in un articolo apparso su Vita.it, ricco di richiami e per questo da non perdere: Raccolta fondi e immagini shock, quale punto di equilibrio?

Ecco come la penso in proposito.

Sono disgustato dall’uso delle immagini lesivo della dignità umana, in particolare dei bambini. Sono contrariato da quel genere di comunicazione che fa leva esclusivamente sull’emotività o sulla pancia del lettore. Molte associazioni fanno uso della prima. La bassa politica fa largo ricorso alla seconda.

Per restare sul terreno del fundraising, i teorici delle neuroscienze sostengono che le emozioni svolgono un ruolo chiave nelle campagne di raccolta fondi. Di conseguenza, la donazione smette di essere un atto responsabile, di condivisione e partecipazione, per diventare un gesto generato da processi che hanno luogo a livello inconscio.

So bene che l’emozione gioca un ruolo importante nella comunicazione. Qualsiasi messaggio, qualunque sia il mezzo o lo strumento con il quale viene veicolato, deve necessariamente catturare l’attenzione del donatore, potenziale o effettivo.

Considero tuttavia non solo miope ma pericoloso e diseducativo puntare sull’emotività, se non è accompagnata dalla razionalità, componente essenziale per spingere all’azione consapevole e responsabile, per generare cambiamento partendo dalle cause vere dell’ingiustizia e della disuguaglianza.

Raccogliere fondi senza porsi il problema di educare e mobilitare le coscienze non produce cambiamento. La semplificazione può dare risultati nel breve periodo, ma la realtà è complessa e come tale va rappresentata. Non ci sono soluzioni facili. Se il mondo dell’associazionismo e del volontariato vuole davvero lavorare per un mondo migliore e più giusto, deve cominciare dalla comunicazione, corretta, sincera, rispettosa della dignità delle persone.


Risposte

  1. Mi piace molto il tuo post. Sempre mai sopra misura, educato ma non per questo meno efficace. Occorre capire quali sono le priorità. Spesso è il portafoglio a dettare legge e si perde di vista l’etica. Etica… Gran bella parola. Alcune organizzazioni si contraddicono e questo è ancor più discutibile. Grazie di questo tuo punto di vista.

    • “Educato, ma non per questo meno efficace”. Grazie Elena, mi piace molto questo tuo apprezzamento. Sono davvero stanco di prepotenza e arroganza, convinto come sono che quella verbale predispone a quella fisica. Sicuramente l’età mi aiuta, con l’esperienza si impara l’ascolto, e l’ascolto favorisce il confronto. Porgere le proprie idee all’altro significa evitare l’arroccamento ciascuno sulle proprie certezze. Il dialogo aiuta a misurarsi con il punto di vista altrui. Buona settimana, Beppe


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